Paralimpiadi Tokyo 2020
Le Paralimpiadi di Tokyo si sono chiuse per l’Italia con un bottino di 69 medaglie – 14 oro, 29 argento e 26 bronzo – che ha significato il nono posto nel medagliere internazionale.
Le soddisfazioni sono giunte da sport diversi, tra i quali atletica, ciclismo, scherma, tiro con l’arco, tennistavolo e dressage, ma la disciplina regina è stata senza ombra di dubbio il nuoto, in cui l’Italia ha vinto in totale 39 medaglie.
Qualsiasi risultato sportivo si conquista attraverso impegno personale e organizzazione collettiva. Un allenamento da fare in sincrono, valorizzando i bisogni delle persone e allo stesso tempo favorendo i loro punti di forza.
Ecco allora che lo sport, anche nel momento della sua massima competitività, diventa strumento di riabilitazione e strumento di inclusione, utile a eliminare quel fastidioso (retro)pensiero che chi è disabile non può fare.
Questo importante risultato però non deve rimanere una vetrina solo in ambito sportivo, ma deve riflettersi anche nel più ampio ambito della “società civile” e in particolare in quello lavorativo.
Il lavoro è diritto e dovere di ogni persona; necessità irrinunciabile e ambito di realizzazione primario.
Ma senza inclusione non è possibile alzare l’asticella e sviluppare quel normale e sano spirito di competizione che valorizza le ambizioni personali e che migliora il contesto nel suo insieme; così come certificato dalla spedizione italiana a queste Paralimpiadi.
È bello e utile allora riprendere le parole di Marco Rasconi, presidente UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia), che commentando i giochi di Tokyo ricorda che ogni medaglia è solo «la punta dell’iceberg di un percorso. Adesso festeggiamo, ma da domani ricominciamo ad allenarci tutti, non solo gli atleti».